L’Occidente ha da sempre privilegiato l’arte del pieno, del saturo, fino alle perversioni del barocco e del rococò. Nel prossimo numero di Diwali – Rivista Contaminata desideriamo
esplorare un altro tipo di presenza, quella del vuoto, dalle arti
figurative alla letteratura, dall’architettura alla fotografia, fino
alle molteplici situazioni artistiche in cui il vuoto riempie.
Ma il vuoto che vogliamo indagare è il vuoto (in)colore,
laddove il colore ci sembra apparire come punto di emergenza di una
contraddizione che fonda il concetto stesso di vuoto: possiamo concepire
un vuoto assoluto? Oppure il vuoto è sempre vuoto di qualcosa?
E allora, seguendo la pista di questi interrogativi, il colore può essere ciò che rende visibile la non assolutezza del vuoto, dando esistenza visiva a una materia altrimenti invisibile.
E allora, seguendo la pista di questi interrogativi, il colore può essere ciò che rende visibile la non assolutezza del vuoto, dando esistenza visiva a una materia altrimenti invisibile.
L’importanza del vuoto non è certo una
scoperta recente quando si consideri come già il termine sanscrito sunya
denotasse un vuoto creativo. D’altro canto le culture orientali,
soprattutto quelle influenzate dalla via del Buddhismo e dallo Zen,
hanno sempre reputato il vuoto come essenziale per la concezione di ogni
opera artistica.
Nell’arte del XX secolo si pensi all’estrema «vuotezza» di tante composizioni di Fontana, dove l’assenza costituisce la sostanza stessa di «buchi» e dei «tagli», oppure alle tele di Klein dove il blu intenso sembra riconciliare la dimensione umana con quella cosmica. Nel teatro si considerino le scansioni temporali dilatate del teatro di Kantor o di Nekrosius, così come nel cinema le pellicole di Kieslowski, Angelopoulos, Kiarostami. E ancora nella letteratura e nella poesia si pensi all’eredità lasciataci dagli haiku di Basho o ai ‘Vuoti’ contemporanei di Harrison.
Nell’arte del XX secolo si pensi all’estrema «vuotezza» di tante composizioni di Fontana, dove l’assenza costituisce la sostanza stessa di «buchi» e dei «tagli», oppure alle tele di Klein dove il blu intenso sembra riconciliare la dimensione umana con quella cosmica. Nel teatro si considerino le scansioni temporali dilatate del teatro di Kantor o di Nekrosius, così come nel cinema le pellicole di Kieslowski, Angelopoulos, Kiarostami. E ancora nella letteratura e nella poesia si pensi all’eredità lasciataci dagli haiku di Basho o ai ‘Vuoti’ contemporanei di Harrison.
Lo stesso concetto è stato ampiamente
ripreso nell’architettura, nel design e nella fotografia, dove il vuoto
spesso domina non solo come componente dei volumi, ma come spazio
circostante e spazio interno.
Ne emerge un tema molto ampio, senza confini prestabiliti, come il vuoto (in)colore sa e deve essere, eppure al contempo un tema ricco di significati e di declinazioni.
I materiali devono pervenirci entro il 15 novembre 2013 al seguente indirizzo:
diwalirivistacontaminata@gmail.com