lunedì 19 maggio 2014

La scimmia

Cacciata dall’eden prima dell’uomo, 
perché aveva occhi così contagiosi
che guardandosi intorno nel giardino
sprofondava perfino gli angeli
in uno sconforto repentino. Pertanto
dovette, pur senz’umile acquiescenza,
fondare sulla terra la sua discendenza.
Lesta, sveglia e destra, conserva una gratia
scritta con la “t”, al terziario risalente.
Adorata dagli Egizi, con una pleiade
di pulci nell’argentea, sacra chioma,
ascoltava arcitacendo pensosa
che volessero da lei. Ah, non morire.
E se ne andava scrollando il culetto vermiglio,
a significare non lo vieto né lo consiglio.
In Europa le fu tolta l’anima,
ma per distrazione le lasciarono le mani;
e un monaco che dipingeva affreschi
diede alla santa palmi stretti, animaleschi.
La santa doveva
prendere la grazia come una nocciolina.
Calda come un neonato, tremante come un vecchio,
la portavano alle corti dei regnanti.
Uggiolava saltando alla catena d’oro,
col suo piccolo frac dai colori sgargianti.
Una Cassandra. Di che ridere qui.
Commestibile in Cina, sul vassoio
fa smorfie arrostite o lesse.
Ironica come un brillante su oro finto.
Il suo cervello ha un sapore delicato,
e qualcosa gli deve pur mancare,
dato che nulla ha mai inventato.
Nelle favole sola, insicura di ciò che fa,
riempie di boccacce gli specchi,
si burla di sé, ossia ci dà un buon esempio,
come un parente povero che di noi tutto sa,
anche se non ci facciamo salamelecchi.
Wislawa Szymborska – “La Scimmia” da Sale (1962)