giovedì 14 maggio 2015

MUSEO STORICO DELL’AERONAUTICA MILITARE – VIGNA DI VALLE

Situato sulle rive del lago di Bracciano (Anguillara-Trevignano), il museo gode di una cornice naturale eccezionale, in cui le tranquille acque del lago sembrano protrarsi all’interno del museo stesso attraverso le grandi vetrate che si affacciano sul lago. Questo è in effetti il più antico sito aeronautico italiano, dal quale nel 1908 si levò in volo il primo dirigibile militare della nostra storia aeronautica. Non poteva esserci luogo più adatto ad ospitare una delle più grandi collezioni di aeroplani al mondo, che si estende attraverso quattro grandi hangar adiacenti, su una superficie di oltre 10.000 metri quadrati, e spazia nel tempo dagli albori del volo a motore agli aviogetti dei nostri giorni. A Vigna di Valle, la moderna base aeronautica che accanto al museo ospita diverse strutture e impianti dell’Aeronautica Militare, si è dunque virtualmente conclusa la narrazione storica che - partendo dal 1903, anno fatidico in cui i fratelli Wright si levarono in volo per la prima volta con un rudimentale aeroplano a motore - si è sviluppata lungo un periodo di circa trenta anni, fino alla definitiva affermazione del mezzo aereo, poco prima che il mondo cadesse nel vortice della seconda guerra mondiale.
Superata la vasta sala di accesso, nella quale figura il busto in bronzo di Maurizio Moris, l’ufficiale del Regio Esercito che l’Aeronautica Militare considera il padre fondatore della forza armata, ad accogliere il visitatore c’è proprio il celebre biplano dei fratelli americani, costruito su licenza a Parigi ed acquistato da Moris al prezzo di 25.000 lire. È il quarto esemplare realizzato in Francia, Flayer n.4, in tutto simile a quello che nel 1903 aveva inaugurato l’era del volo a Kitty Hawk nella Carolina del Nord. L’impatto visivo non può non destare una certa meraviglia, un pizzico di emozione e anche un attimo di incertezza. Colpisce anzitutto la doppia ala, e poi la sua ampia apertura, e non ultima l’estrema semplicità del mezzo, di cui peraltro si resta incerti nel decidere quale sia il muso e quale la coda. Finché la nostra guida non spiega che le eliche sono spingenti e non traenti e perciò sono collocate sul retro, mentre quei piani che sembrerebbero una coda sono in realtà delle superfici atte a stabilizzare in qualche modo l’aeroplano e perciò collocate sul davanti. La macchina non può non suscitare qualche perplessità, eppure su questo “Flayer” impararono a volare con l’insegnamento proprio di Wilbur Wright i primi due piloti italiani, giovani tenenti entrambi, uno della Marina e l’altro dell’Esercito. È appena il caso di ricordare a questo punto che nel 1909 l’Aeronautica, in quanto istituzione autonoma, non era ancora nata, e dunque Esercito e Marina fornivano gli aspiranti piloti.

Tutto intorno nella superficie dell’hangar in cui ci troviamo, ma anche dal soffitto, campeggiano vistosi aeroplani di chiara impronta pioneristica, dall’aspetto suggestivo e non privi di una certa aria romantica che fa pensare ai “cavalieri del cielo” e a quei pazzi temerari sulle macchine volanti. Tra tutti si impone per dimensioni un altro biplano, che allarga le ali per ben 23 metri. È un bombardiere della 1a Guerra Mondiale nato nelle officine di uno dei maggiori costruttori aeronautici italiani, l’ing. Gianni Caproni, che incontreremo ancora – ci dice la nostra guida – alla fine del nostro percorso, come realizzatore di un altro celebre “pezzo” in esposizione.
Intanto scopriamo che questo bombardiere, datato 1913, fu protagonista di molte incursioni durante la Grande Guerra, ad alcune delle quali prese parte anche Gabriele D’Annunzio. Il poeta ci rimanda ad un altro aeroplano esposto lì accanto: è uno di quelli che parteciparono al celebre raid su Vienna lanciando manifestini che invitavano l’Austria alla resa. E poco più oltre ecco il velivolo col quale il nostro più famoso asso dell’Aviazione, Francesco Baracca, conquistò molte delle sue vittorie in duelli aerei.
Entrambi gli aeroplani, quello del poeta e quello dell’asso, sono realizzati in legno e tela e conservano intatto il fascino di un’epoca che, ancorché segnata dagli eventi tragici, portava in sé i caratteri dell’entusiasmo e della passione per la nuova avventura del volo.
Stiamo per raggiungere la seconda area espositiva, tralasciando qualche altro esemplare che pure desta una certa curiosità, come uno splendido modello dalla lucente struttura metallica appostato proprio all’ingresso del secondo hangar. L’impiego del metallo è il segnale dell’evoluzione, infatti siamo all’anno 1925. Ma il legno e la tela resisteranno ancora come materiali di costruzione aeronautica, magari in abbinamento, legno-metallo o metallo-tela.
La visione che si presenta all’ingresso nella seconda area toglie per un attimo il respiro! Non si sa dove guardare e da dove incominciare. Questo è il regno dei cilindri e dei pistoni, quando i motori diventavano sempre più potenti ed efficienti, e gli aeroplani sempre più veloci e sicuri. Siamo immersi nel tempo degli idrovolanti, quegli aerei che decollavano e “atterravano” nell’acqua, ai quali è legata una straordinaria epopea di successi, a cominciare dalle favolose imprese delle crociere di massa attraverso l’Oceano Atlantico, compiute ad opera della Regia Aeronautica per la prima volta al mondo. Per dare un’idea visiva della loro portata, qui sono ricostruite con modellini all’interno di enormi bacheche le formazioni dei 12 idrovolanti che nel 1931 raggiunsero Rio de Janeiro e dei 24 che due anni dopo apparvero sul cielo di New York, suscitando un vero e proprio delirio di folla. Sia pure in scala, l’effetto di insieme di una tale ricostruzione non può non lasciare ammirati.

Sembra quasi incredibile che contemporaneamente a tanto dispiego di tecnica e potenza, si svolgessero anche esaltanti imprese di altro genere che vedevano ancora protagonista di successo il dirigibile. Al Museo è visibile l’interno della navicella che era appesa sotto il gigantesco involucro gonfio di gas.
Più oltre, l’attenzione è letteralmente catturata da uno scintillante “trittico” di un acceso colore rosso. Si tratta di tre idrovolanti da corsa, tre purosangue li definisce la nostra guida, dalle linee eleganti e affusolate. Appartengono tutti e tre alla leggendaria epopea della Coppa Schneider, una gara aviatoria dei tempi in cui l’aviazione era anche competizione sportiva, disputata a colpi di ingegneria e tecnologia. Tutti e tre sono di produzione della società Macchi e l’ultimo in particolare è tra le più avanzate realizzazioni dell’epoca (siamo nel 1934) e costituisce uno dei velivoli più belli ed interessanti mai costituiti.
Con questo Macchi MC 72 il motore ad elica ha raggiunto il massimo delle sue possibilità. L’era dell’elica, quanto a capacità di spinta e di forza, si ferma qui.
È arrivata l’epoca del motore a reazione! Ed eccolo infatti campeggiare nella parete di fondo dell’hangar, il primo aviogetto di ideazione e costruzione italiana, nato nel 1940 ad opera delle officine Caproni, le stesse del bombardiere in legno e tela esposto nell’area precedente. Non siamo ancora al vero e proprio motore a getto, ma la strada è quella che porterà a realizzarlo.
Su questo scenario storico cala la pesante cortina della seconda Guerra Mondiale.
La rinascita dell’aviazione, unitamente a quella del paese, avverrà alla fine del conflitto. Il Museo dedica a questa nuova fase di sviluppo aeronautico tutta la seconda parte del suo spazio espositivo che giunge fino ai moderni aviogetti militari (al momento però questo settore non è visitabile perché in corso di restauro).
Usciamo nel piazzale sulle rive del lago. È una tiepida giornata primaverile e sul lago sono apparse molte vele bianche. In fondo al piazzale un vecchio aeroplano dagli sgargianti colori giallo e arancione sembra attendere il suo turno di prendere il posto che gli spetta all’interno del Museo. (Col. Roberto Scaloni)